martedì 28 novembre 2017

Identità biometrica digitale



Sviluppata nell'ambito di un progetto finanziato dall'Unione Europea, garantisce l'accesso in modalità robusta ad applicazioni e servizi sensibili

Con l'arrivo dell'iPhone X è diventata, improvvisamente o quasi, una tecnologia di dominio pubblico, conosciuta sin nei minimi dettagli un po' da tutti. La realtà, però, è che la scansione del volto e il riconoscimento facciale come sistema di sicurezza per lo sblocco dello smartphone è tutt'altro che una novità. Già prima di Apple, altri produttori avevano provato a implementare questa soluzione sui loro dispositivi (vedi Samsung con il Note 7 e, successivamente, Note 8), mentre diverse amministrazioni pubbliche avevano pensato a questa particolare forma di biometria per l'accesso a servizi individuali in via telematica.

Uno delle sperimentazioni più avanzate in questo senso è quella portata avanti nell'ambito del progetto PIDaaS, che coinvolge 8 partner di 5 nazioni europee (Italia, Lituania, Norvegia, Regno Unito e Spagna) e coordinato dal Consorzio per il Sistema Informativo (CSI) della Regione Piemonte. Finanziato con 4 milioni di euro nell'ambito del Programma Quadro per l'innovazione e la competitività (CIP) dell'Unione Europea, ha portato allo sviluppo di tecnologie e un framework operativo rivelatosi fondamentale per la creazione di un sistema di riconoscimento basato sull'identità biometrica digitale.

Che cos'è il progetto PIDaaS
Acronimo di Private Identity as a Service ("identità personale come servizio" in italiano), il progetto PIDaaS ha coinvolto, come accennato, enti pubblici, aziende private ed enti di ricerca di cinque diverse nazioni dell'Unione Europea. Gli otto partner hanno collaborato per realizzare un sistema che, sfruttando le tradizionali tecnologie di biometria e le piattaforme di gestione dell'identità, permettesse l'accesso sicuro a informazioni strettamente riservate e personali.
Successivamente sperimentato da 200 persone in Italia, Lituania e Spagna (rispettivamente nell'ambito dell'e-citizenship, e-market ed e-health), il progetto ha fatto registrare risultati più che significativi e portato alla creazione di un sistema di riconoscimento biometrico digitale dalle molteplici applicazioni.

Cos'è e come funziona l'identità biometrica digitale
Il progetto PIDaaS basa il suo funzionamento sul concetto di Something I am (traducibile con "Qualcosa che sono") anziché su modelli "standard" come Something I know ("Qualcosa che conosco", come una password) e Something I have ("Qualcosa che ho", come una chiavetta crittografica o un token di accesso). Sfruttando sistemi di riconoscimento del timbro vocale e del volto, è stato realizzato un modello che unisce i dati biometrici a elaborati meccanismi di gestione dell'identità digitale biometrica (Biometric Template Protection Schemes). In questo modo è stato possibile garantire elevati standard di sicurezza informatica (non transitabilità delle informazioni biometriche e inviolabilità dell'accesso).

Identità digitale
Il tutto si è concretizzato in un'app per smartphone in grado di gestire l'identità biometrica digitale in maniera sicura e intuitiva. Grazie a questo sistema, le persone coinvolte nella sperimentazione hanno avuto accesso in modalità robusta (strong access nel gergo tecnico) ad applicativi web contenenti loro dati personali o informazioni riservate. Bastava, ad esempio, dire il proprio nome o effettuare la scansione del volto per effettuare il login e trovarsi catapultati all'interno del proprio profilo personale sul portale dell'amministrazione comunale o accedere alla propria cartella clinica.

I vantaggi per i cittadini
 Nel momento in cui le tecnologie di riconoscimenti biometrico sviluppate nell'ambito del progetto PIDaaS saranno rese pubblicamente disponibili e implementate in servizi di ogni genere, i vantaggi per i cittadini saranno immediati. Come verificato nel corso della sperimentazione, l'identità biometrica digitale può essere utilizzata per accedere all'anagrafe digitale del comune e ottenere certificazioni anagrafiche senza che ci sia bisogno di recarsi fisicamente negli uffici. O, ancora, si potrà consultare la cartella sanitaria dal proprio computer senza timore che qualche hacker possa rubare le chiavi d'accesso al nostro profilo personale (cosa che, invece, può accadere nel momento in cui si utilizzano sistemi basati su password o token d'accesso fisici).

martedì 21 novembre 2017

Fixed wireless broadband



Si apre il primo spiraglio per il destino della tecnologia fixed wireless broadband, che porta fino a 30 Megabit in zone spesso mal servite dagli operatori principali. L’Autorità garante delle comunicazioni ha avviato la scorsa settimana la consultazione pubblica per stabilire una proroga alle frequenze 3.5 MHz in mano agli operatori, dopo aver ricevuto parere positivo dal ministero dello Sviluppo economico.

La questione è ancora aperta, ma adesso ci sono speranze che si possa arrivare a una soluzione al meglio per la sopravvivenza di questa tecnologia alternativa (che continua a svolgere un ruolo anche sociale, anti digital divide) e dei relativi operatori, che rischiavano di restare schiacciati con l’avvento del 5G. In ballo, in questa partita, c’è anche la possibilità di vedere l’arrivo di operatori nuovi entranti nel mondo del 5G mobile – Fastweb si è già candidato in prima fila – e quindi potenzialmente maggiore concorrenza e innovazione nei servizi.

Il fixed wireless broadband è una tecnologia antica in Italia, dove ha avuto un successo record tra i Paesi Ocse. Un tempo – primi anni 2000 – era rappresentata dagli operatori hiperlan, che portavano la banda larga tra monti e campagne in digital divide, sfruttando frequenze libere (5 MHz). Poi si sono aggiunti gli operatori WiMax, su frequenze 3.4-3.6 MHz, ottenute in licenza con una costosissima asta. Adesso gli operatori tendono a non usare più il WiMax, bensì una tecnologia basata su Lte, ma le frequenze sono le stesse.

Il problema si è aperto quando l’Itu, l’agenzia Onu per le tlc, ha indicato anche le frequenze 3.4-3.8 MHz nel paniere di quelle che possono andare al 5G, valutazione poi confermata da indagini conoscitive condotte dal Mise e da Agcom. “Alla luce anche delle aste 5G già avvenute o in via di definizione negli altri paesi dell’Unione, si ritiene che la prossima procedura di assegnazione possa riguardare lo spettro a 700 MHz, le frequenze a 2300-2400 MHz e una parte consistente della banda compresa tra i 3400 MHz e i 3800 MHz”, spiega Filippo Lucarelli, partner Ict Consulting.

Una brutta notizia per gli operatori fixed wireless, tra cui figurano Linkem, Eolo, Tiscali (che è entrato nel mercato dopo la fusione con Aria), più una miriade di soggetti minori che lavorano solo su base regionale, con un totale di circa un milione di utenti attivi. Per prima cosa, hanno dovuto incassare lo stop di un’attesissima asta 3.6-3.8 MHz, nuove frequenze con cui speravano di potenziare la propria banda larga.

Poi è arrivato il timore che le frequenze ex WiMax sarebbero state messe all’asta per il 5G una volta scaduta la licenza, ossia nel 2023. E in un’asta 5G, con base 2,5 miliardi (come indicato nella Legge di stabilità), il rischio è che tutte le frequenze vadano in mano ai grandi operatori. Nelle ultime settimane, contro questa eventualità che ne minaccerebbe la sopravvivenza, gli operatori del fixed wireless hanno chiesto al Governo una proroga della licenza (come quella data di recente agli operatori mobili), già con la Legge di Stabilità 2018.

Alla fine però il Mise, d’accordo con Agcom, ha ritenuto che fosse poco corretto dare una proroga di frequenze così importanti attraverso un decreto. Di qui l’apertura della consultazione Agcom, che ricorda quella fatta dall’Authority tlc Ofcom, la quale in effetti ha poi dato la proroga di quelle frequenze al fixed wireless broadband. A quel punto quelle frequenze potrebbero essere utilizzate anche per fare 5G mobile da parte di nuovi entranti come Fastweb, che ha già un accordo a riguardo con Tiscali.

Non è detto che finisca così, certo. Ci sono da soppesare diversi fattori. Da una parte, l’utilità di tutelare operatori (e posti di lavoro), una tecnologia utile e anche la possibilità di aprire il 5G mobile a nuovi entranti. Dall’altra, c’è l’indicazione Itu che servono almeno 100 MHz ad operatore per fare un buon 5G, quindi un po’ di concentrazione di risorse in poche mani potrebbe favorire la qualità finale della rete.

E bisogna evitare di danneggiare l’asta 5G, memori di quanto successo proprio nel Regno Unito. Dove un operatore beneficiato dalla proroga, Uk Broadband, è stato comprato da 3 UK, che ha potuto così ottenere una scorciatoia per mettere mani su frequenze utili al 5G senza bisogno di partecipare all’asta.

È sempre sul banco una soluzione alternativa: far scadere quella licenza e dare a quegli operatori frequenze alternative, 3.8-4.2 MHz. In seguito, magari, stabilire regole – compito di Agcom farlo – per l’asta 5G a favore dei nuovi entranti (per esempio limitando la grandezza dei lotti da mandare all’asta), come fatto dalle Authority di Germania, Regno Unito e Repubblica Cca.

Fonte: Nòva

martedì 14 novembre 2017

La realtà aumentata sul posto di lavoro



Dalle fabbriche ai ristoranti fino agli uffici: la realtà aumentata è pronta a fare il suo debutto nelle aziende. Ecco come cambierà la vita dei lavoratori

Alle volte bistratta, considerata come se fosse la sorella "brutta" della realtà virtuale. Ma non è così. Anzi. Stiamo parlando della realtà aumentata, tecnologia molto spesso associata alla VR (Virtual Reality) e di cui è considerata una sorta di sorella minore. Come se le due tecnologie potessero in qualche modo essere accomunate. In entrambi i casi è possibile utilizzare un visore per sfruttare la tecnologia (nella realtà virtuale è obbligatorio, mentre nella realtà aumentata, come vedremo, lo si usa solo in casi speciali), ma le similitudini finiscono qui. Nonostante da diversi anni si continua a dire che la realtà virtuale sarà "the next big thing", si tratta ancora di una tecnologia che ha bisogno di molto tempo per diventare a misura d'uomo. La realtà aumentata, invece, è già pronta per essere utilizzata dalle persone nella vita di tutti i giorni. E in molti casi già lo facciamo senza che ce ne accorgiamo. Un esempio? Pokemon Go, il videogame che ha riscritto la storia dei giochi per smartphone, utilizza la realtà aumentata per mostrare i Pokemon sullo schermo del dispositivo.

Oltre che su smartphone e tablet (sia Google sia Apple hanno rilasciato una piattaforma che permette agli sviluppatori di realizzare facilmente applicazioni per telefoni Android e iOS), la realtà aumentata sta mostrando le sue potenzialità anche nel mondo del lavoro. Negli ultimi anni sono partiti molti progetti per implementare l'augmented reality anche all'interno delle fabbriche. Dopo i primi esperimenti falliti del Google Glass, nuove startup stanno sperimentando degli smart glass che aiutano gli operai nella catena di montaggio facilitando il loro lavoro e aumentando la produzione e la sicurezza. Ma non solo. La realtà aumentata può essere utilizzata anche all'interno degli uffici trasformando le scrivanie in dei veri e propri computer: per gestire le pagine del browser o i programmi che si stanno utilizzando basta toccare gli ologrammi sulla scrivania. Ecco come la realtà aumentata cambierà il mondo del lavoro.

La scrivania diventa un computer
ùSono diversi i dispositivi creati dalle startup per rendere gli uffici sempre più smart. E la realtà aumentata è la tecnologia più utilizzata. Alla Carneige Mellon University hanno brevettato Desktopography, una lampadina "particolare" capace di proiettare sulla scrivania dell'ufficio una serie di programmi utili per il lavoro. Ad esempio, se si deve scrivere una e-mail, senza dover utilizzare la tastiera fisica, si potrà battere sulla tastiera virtuale che apparirà sulla scrivania. Desktopgraphy supporta anche altri programmi che renderanno il lavoro molto più semplice e smart. La lampadina è composta da un proiettore e da una fotocamera che riesce a capire se sulla scrivania sono presenti degli oggetti che ostacolano la proiezione della tastiera o delle applicazioni di Desktopgraphy.
Un'applicazione moto simile è Workspace, sviluppata dalla software house Meta. Per utilizzare Workspace, però, è necessario usare un visore per la realtà aumentata o uno smart glass. Grazie a Meta, i lavoratori potranno controllare il computer o i macchinari direttamente con le gesture delle mani, senza dover intervenire fisicamente.

KabaQ, il menù in realtà aumentata
 Quando si entra in un nuovo ristorante si ha sempre timore che i piatti non soddisfino le proprie aspettative. KabaQ cerca di risolvere questi problemi e di semplificare la vita dei ristoratori. L'applicazione utilizza una particolare tecnologia che scannerizza i piatti e permette ai clienti di visionarli prima di arrivare al ristorante. Il tutto avviene grazie alla realtà aumentata: basta scaricare l'applicazione disponibile sui market online e le persone possono avere un'idea approfondita su come saranno i piatti. Un servizio che può cambiare il mondo della ristorazione e rendere i menu veramente interattivi.

Caschetti intelligenti
Una delle grandi sfide per la realtà aumentata sarà di riuscire a semplificare la vita di coloro che lavorano all'interno delle catene di montaggio. Alcune grandi aziende dell'automotive stanno sperimentando dei particolari elmetti che proiettano tramite degli ologrammi la posizione esatta dove montare il pezzo. In questo modo, oltre a velocizzare il lavoro, si riduce anche la probabilità di errore umano e si aumenta la sicurezza del lavoratore.

Gli smart glass
Già qualche anno fa Google ha cercato di lanciare degli smart glass che riproducessero sulle lenti delle informazioni che potessero essere utili alle persone. Si è trattato di uno dei fallimenti più grandi dell'azienda di Mountain View: i Google Glass erano troppo in anticipo rispetto alle esigenze degli utenti e delle aziende. Ma ora i tempi sono maturi affinché gli smart glass si affermino sul mercato. Non è un caso che le grandi aziende della Silicon Valley stiano brevettando i loro primi modelli di occhiali intelligenti. Gli esperimenti di Apple sono già a buon punto e nei prossimi anni dovrebbe presentare il primo modello di Apple Glass. Lo stesso sta facendo Facebook attraverso Oculus, l'azienda acquistata qualche anno fa da Mark Zuckerberg per produrre visori per la realtà virtuale. Google ha addirittura lanciato una seconda versione dei Google glass dedicata esclusivamente al mondo del lavoro. Se gli smart glass riusciranno a farsi apprezzare all'interno delle fabbriche e degli uffici, allora si potrà dire che la realtà aumentata avrà vinto la propria sfida.

martedì 7 novembre 2017

Digital Transformation di Fastweb



La Digital Transformation (trasformazione digitale) è un universo tridimensionale. È l'analista IDC, nel corso dell'evento milanese "Digital Transformation Conference" a spiegare come il fenomeno sulla bocca di tutti i manager (non solo IT) possa essere descritto in 3D, definito da tre assi cartesiani: dati (in esplosione!), digitalizzazione (addio hardware, benvenuto cloud!) e disruption (nuovi modelli di business digital native e nuove opportunità anche per i settori più tradizionali).

 Dati
L'esplosione dei dati generati quotidianamente da privati e aziende è sotto gli occhi di tutti, ma IDC li quantifica: il numero di record prodotti globalmente cresce a un tasso medio annuo composto (CAGR) del 40%. Si passerà, infatti, dai 4,4 Zettabyte* del 2013 a 44 ZB di dati che verranno creati nel mondo nel 2020. E non saranno solo gli individui a contribuire a questa "esplosione": la rivoluzione dell'Internet degli oggetti è solo all'inizio ma, stima l'analista, nel 2020 ci saranno oltre 30 miliardi di oggetti interconnessi, che andranno a costituire reti IoT di endpoint in grado di comunicare tra loro senza alcun intervento umano, utilizzando la connettività Internet per scambiarsi dati.

"La portata di questa rivoluzione nel corso del prossimo decennio - esordisce Sergio Patano, Research & Consulting Manager di IDC - sarà ancora più ampia visto che l'80% di dati prodotti dalle reti IoT è ancora di tipo destrutturato. Le aziende hanno capito l'importanza di correlare, integrare e analizzare in modo congiunto questi record, per ottenere informazioni utili a indirizzare le decisioni future. Il ruolo dei big data, in un contesto di questo tipo, è quindi primario. Così come lo è quello del cloud, per garantire quella granularità degli investimenti a sostegno della digitalizzazione che è fondamentale al giorno d'oggi. Nessuno si può più permettere di sostenere economicamente faraonici progetti IT come in passato".

Digitalizzazione
L'informazione è l'elemento centrale della trasformazione digitale. "Il più grande distributore di contenuti è Facebook, e non ha nessun contenuto di proprietà. Lo stesso dicasi per Airbnb, che è il maggior operatore dell'hospitality senza avere alcun immobile, neppure una camera di proprietà. E si tratta di disruptor, nuovi operatori che sfruttano l'innovazione digitale sovrapponendosi ai player tradizionali e sconvolgendo gli equilibri del mercato", commenta Patano. Le aziende investono già oggi in quest'area, quella della digitalizzazione, ma lo faranno ancora di più in futuro, tanto che a tendere (nel 2020) 1/3 del budget IT sarà convogliato in via esclusiva su quella che IDC ha ribattezzato "information transformation".

Venendo ai riflessi più prettamente aziendali della rivoluzione in atto, IDC suggerisce di implementare la digitalizzazione lungo 5 direttrici chiave: la leadership (capacità di sviluppare e implementare una strategia per la trasformazione digitale dell'azienda), l'omni-experience (capacità di attrarre e far crescere la fiducia di clienti, partner e dipendenti creando esperienze interattive), la gestione intelligente delle informazioni (capacità di sfruttare le informazioni per ottenere un vantaggio competitivo), i modelli operativi (capacità di rendere le operation più reattive ed efficaci, facendo leva su prodotti e servizi, asset, persone e partner connessi digitalmente) e la forza lavoro (la trasformazione del modo in cui le aziende accedono ai talenti, li connettono tra loro e con l'ecosistema di riferimento per generare valore).

Come affrontare la disruption
Ma come è possibile approcciare in modo efficace la nascita di nuovi modelli di business, di nuovi concorrenti, di nuove modalità di condurre un business tradizionale? "Affrontare le sfide della digital disruption si può, anzi si deve - suggerisce l'analista -. Bisogna farlo in modo scientifico, agendo su quattro aspetti chiave". Anzitutto, creando nuovi ruoli, in un'ottica di leadership transformation. In Italia, i leader deputati sono i CIO, ma nascono anche figure nuove come l'Head of Innovation, l'Head of Strategy e l'Head of Digital. Le LOB oggi detengono una fetta sostanziale del budget dedicato alla digital innovation e la trasformazione digitale non più solo legata agli aspetti IT. 

In seconda battuta, attraverso lo sviluppo di una piattaforma: digitale (B2C, Business-to-Consumer) oppure enterprise, nelle due declinazioni B2B (Business-to-Business) e B2E (Business-to-Employee). In questo senso, fondamentale è il ruolo del cloud per far dialogare a livello applicativo, di piattaforma e di infrastruttura gli ambienti tradizionali con i nuovi ambienti digitali. Ma bisognerà attivarsi anche per creare un vero e proprio "ecosistema digitale", il che significa estendere il digitale anche oltre i confini aziendali, ai clienti e ai partner. Tutto questo lavoro, però, ha ben poco senso se non si creano all'interno dell'organizzazione dei veri e propri innovation lab, in grado di favorire il nurturing delle idee, la loro condivisione e arricchimento, ma anche la valutazione della loro fattibilità e sostenibilità nel tempo.

Disruption
"Solo se si riesce ad applicare la teoria del pensiero laterale, a guardare con occhi nuovi al business si può innovare senza essere travolti dalla digitalizzazione - mette in guardia Patano -. L'alternativa all'innovazione è il fallimento. Un esempio su tutti è quello di Kodak, che è stata la prima azienda a depositare il brevetto di una macchina fotografica digitale. I suoi manager, però, hanno pensato che la messa in commercio di una fotocamera di questo tipo avrebbe avuto ripercussioni negative sulla vendita di carta fotografica e di rullini così hanno accantonato il progetto e da lì in poi è iniziato il declino, tanto che nel gennaio 2015 la società ha definitivamente chiuso i battenti".

Ma allora come si fa a governare la digital transformation? IDC ha la sua ricetta: "È tempo - conclude Patano - che le aziende compiano un salto quantico, passando da un mondo tridimensionale come quello descritto a un framework 3D, in cui i tre assi cartesiani, rappresentati da altrettante "I", siano realmente integrati, circolari e liquidi".

Il segreto, quindi, è innovare – non solo prodotti e servizi ma anche modelli organizzativi e obiettivi dell'azienda -, integrare - le capacità digitali con la piattaforma IT aziendale - e incorporare - non solo le tecnologie ma anche gli skill nuovi e nuovi modelli di governance, che permettano di gestire l'innovazione senza perdere il controllo.

Un nuovo corso, quindi, che impone di rivedere i modelli di sourcing IT di tipo tradizionale per abbracciare nuove modalità più agili – cloud in testa –, in grado di garantire una granularità degli investimenti e consentano di mettere a fattor comune le competenze interne e quelle tecniche, progettuali e verticali dei partner tecnologici.
*triliardi, ovvero miliardi di byte, un numero corrispondente a una potenza di 1021

Ma vediamo nel concreto in cosa consistono le soluzioni proposte da Fastweb per realizzare la rivoluzione della Digital Transformation:
  • Cloud Infrastrutturale Le soluzioni di Cloud Computing per realizzare servizi ICT agili, efficienti, sicuri e vicini alle esigenze di business
  • Servizi di Data Center Per ospitare i tuoi server e apparati aziendali con la massima sicurezza ed affidabilità e realizzare soluzioni di Cloud Ibrido
  • Gestione documentale in Cloud Per rendere efficiente, grazie al Cloud il trattamento dei documenti in azienda
  • Difendersi da minacce avanzate Il servizio per rilevare, investigare e rimuovere in tempo reale minacce informatiche legate ad attacchi APT (Advanced Persistent Threat)
  • Prevenire le minacce e analizzare informazioni Le soluzioni per raccogliere e conservare log, monitorare l’esposizione dell’Azienda ad attacchi informatici con security intelligence e data analytics in Cloud
  • WiFi per l’Azienda La rete wireless aziendale flessibile, ad alte prestazioni ed integrata nel Cloud
  •  WiFi per il Business Soluzioni WiFi avanzate per sviluppare business attraverso la conoscenza, l’engagement e la fidelizzazione della propria Clientela